L’assenza sul territorio nazionale di un’adeguata rete di impianti di trattamento costringe il nostro Paese ad esportare ogni anno ingenti quantitativi di rifiuti provenienti da attività industriali. Questi rifiuti – riporta Ansa – all’estero vengono trasformati in nuove materie prime e in energia, e il gap impiantistico costa al Paese circa 1 miliardo di euro l’anno. La denuncia emerge da un rapporto presentato da Assoambiente (Associazione Imprese Servizi Ambientali ed Economia Circolare).

I rifiuti speciali, al netto di quelli derivanti dal comparto costruzioni, nel 2019 (ultimo anno per cui sono disponibili i dati) sono stati quasi 111 milioni di tonnellate. Nel 2019 sono state esportate oltre 4 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, destinati nel 50% dei casi verso paesi vicini come Germania, Austria, Francia, Svizzera e Slovenia. La Germania ne ha accolte 800.000 tonnellate. Il 23% dei rifiuti esportati è stato destinato ad impianti di incenerimento o recupero energetico, il 14% è stato conferito in discarica o avviato ad altre operazioni di smaltimento, il resto è stato riciclato.

Secondo Assoambiente, già oggi si evidenzia un fabbisogno impiantistico superiore a 10 milioni di tonnellate di rifiuti/anno e un fabbisogno cumulato nei cinque anni (2021-2025) pari a circa 34 milioni di tonnellate. Non colmare questo gap significa cedere all’estero valore economico pari a circa 1 miliardo di euro l’anno, al netto delle perdite in termini occupazionali, di produzione di materie prime ed energia e di gettito fiscale.

La sola mancata produzione di energia generabile dai rifiuti destinati ad essere “termovalorizzati” all’estero è stimabile fra i 330.000 e 400.000 MWh all’anno. Per un Paese come l’Italia che importa energia, si traduce in un costo annuo, a valori di mercato, fra 40 e 60 milioni di euro.