C’è stato un tempo, non troppo lontano, in cui si era intenti a pensare e ridisegnare il futuro e il lavoro. Era il tempo del lockdown e complice la paura si era dediti a prospettare soluzioni per il mondo, soprattutto per i giovani. A distanza di pochi mesi – veramente pochi – ci si rende conto che la bolla costruita, di attese e stravolgimenti annunciati, è scoppiata. La sensazione di euforia che una pandemia potesse cambiare la società, modo di concepire il lavoro e le relazioni è svanita. Rassegnati, ancora.

Lo erano ieri i quarantenni, lo sono oggi i ventenni e trentenni. E forse, questa volta, sarà ancor peggio scontrarsi con la realtà.

Quella che si annuncia, al netto di statistiche e non, è una situazione insostenibile non solo dal punto di vista economico e lavorativo, ma anche umano. L’idea romantica che era avanzata durante la pandemia di un cambio di passo, oggi affronta i drammi della realtà. Non c’è ancora un piano occupazionale strutturato e, anzi, molte le polemiche sulla salvaguardia dei posti di lavoro, quelli che a breve finiranno di esistere (complice l’evoluzione tecnologica) a discapito di nuove figure qualificate che, un dato oggettivo, i giovani possono ricoprire.

Ancora una volta il futuro appare incerto. Il tempo stringe e le buone notizie istituzionali che quotidianamente vengono propinate dalle agenzie su Recovery Fund e misure varie non bastano a rassicurare sulle sorti delle giovani generazioni. L’eredità del Covid-19 rischia così di essere pesante. I mercati cambieranno, i modelli di lavoro saranno nuovi e c’è bisogno di cambiamento.