di Miriam Iacovantuono

I loro sorrisi si sono spenti. Quelle carezze sul volto all’improvviso non le hanno sentite più e la mancanza più grande è stata non poter vedere i propri familiari. È questa l’immensa sofferenza che gli ospiti delle case di riposo hanno vissuto durante il lockdown.

E così da oltre 6 mesi gli anziani sono lontani dalle loro famiglie e a colmare quel vuoto ci sono stati e ci sono gli operatori che cercano di farli sentire meno tristi e soli.

Una situazione comune a tutte le strutture per anziani del territorio e così anche nella casa di riposo Pistilli di Campobasso, dove gli ospiti hanno cercato di capire che la situazione era difficile e lo è ancora e non si può abbassare la guardia.

“La mancanza dei familiari è sentita e si sente ancora – racconta una delle ospiti che è nella struttura da un anno – e quello che mi è mancato di più è il contatto fisico soprattutto con i miei nipoti”. La speranza però è che questa situazione passi presto e se cercano di trascorrere le giornate con serenità anche con l’aiuto degli operatori che li tengono impegnati in alcune attività, a dare loro la forza è anche lo stare insieme. “Ci consoliamo l’uno con l’altro”.

Una lontananza che viene colmata anche dalla tecnologia come racconta un altro ospite. “Con whatsapp non ho sentito la mancanza, sono riuscito a vedere molto spesso la mia famiglia e soprattutto le mie nipotine”. Ma certo la presenza fisica è un’altra cosa e quella è mancata tanto.

E poi la paura c’è e continua ad esserci. “Purtroppo – dice – c’è incoscienza e ci vuole responsabilità per il bene di tutti”.

Il lavoro grande è stato senza dubbio quello degli operatori che si sono trovati a fare turni anche di 13 e 14 ore con la paura poi di tornare a casa dove erano costretti ad avere il minimo contatto con i familiari. Una situazione che è pesata tanto e soprattutto per quelle mamme e quei papà che non potevano abbracciare i propri figli.

Operatori che all’interno della struttura si sono trovati a sostituire quei familiari che non potevano entrare per visitare gli ospiti. Hanno dovuto colmare quel contatto fisico che mancava, dare quelle carezze e quegli abbracci che gli anziani si aspettavano. E soprattutto hanno dovuto spiegare loro cosa stava succedendo ed è stato difficile soprattutto per gli ospiti malati di Alzheimer.

“Noi – racconta Anna – non ci possiamo sostituire ai familiari, ma abbiamo fatto il possibile per far capire ai nostri anziani che c’era questo problema. Siamo dovuti stare molto più vicini ai nostri ospiti perché abbiamo visto la sofferenza e il decadimento. E soprattutto per gli ospiti malati di Alzheimer”.

E se la situazione sembrava potesse migliorare ora con l’incremento dei contagi le strutture per anziani rimangono ancora chiuse e questo ha aumentato la sofferenza degli ospiti che sono spaventati dal fatto di non poter ancora rivedere i propri cari

“Sono spaventati – dice Anna – e qualcuno ci domanda: ma non era finita? Allora mia figlia non la posso rivedere?”

Ora la speranza per tutti è che non si debba tornare indietro. Che la strada sia in discesa e l’incremento dei contagi sia solo una parentesi. E gli anziani possano tornare a stringere le mani dei loro figli e a incrociare gli occhi dei loro nipoti.