di Miriam Iacovantuono

Progettazione, condivisione di azioni sul territorio, coinvolgimento delle comunità locali sono alcuni degli elementi su cui lavorare per sperimentare una serie di modelli di intervento nelle aree rurali del Paese. Partendo da questo Liminaria, si propone di sperimentare una serie di modelli di intervento che, ispirati ai concetti di ri-territorializzazione, restanza e self-reliance, riconfigurino lo spazio rurale locale come luogo di attività in cui il capitale sociale, inteso come insieme delle reti di relazioni cooperative tra attori individuali e collettivi, rappresenta un elemento centrale di rivalorizzazione delle risorse territoriali locali.

Si tratta di un progetto di studio e di ricerca sul campo che nasce nel 2014 ed è orientato alla creazione di reti sostenibili dal punto di vista culturale, sociale ed economico nel territorio del Fortore, micro regione rurale del meridione d’Italia compresa tra le province di Benevento, Campobasso e Foggia.

Le azioni promosse dal progetto Liminaria investono campi differenti: dagli eventi culturali e performativi, tra i quali un programma di residenza di sound art per artisti internazionali, fino ai percorsi di co-working con le scuole, dai processi di ottimizzazione delle reti fino alla sperimentazione di format ibridi legati alle nuove tecnologie, in un’ottica che si fonda sull’esperienza di strategie e pratiche sostenibili di transizione e innovazione interagite con gli spazi, i paesaggi e le comunità locali.

Leandro Pisano, curatore di Liminaria, spiega che il progetto può essere individuato come step successivo rispetto a un percorso di ricerca già cominciato nel 2003, fondando il Festival Internazionale di Arti Digitali – Interferenze – ubicato nell’area rurale della Valle Caudina nell’Irpinia occidentale.

“Nato sotto forma di festival, il progetto si è trasformato in una piattaforma di ricerca e di studio sulla ruralità contemporanea attraverso le pratiche artistiche legate ai nuovi media e quindi alle tecno culture e al suono. Nella seconda fase di questo lavoro, inaugurato nel 2014 con Liminaria, abbiamo cercato di mettere a fuoco una serie di questioni su cui ci eravamo concentrati nella prima fase del progetto, approfondendole e dando uno spazio specifico a tali questioni che vertevano soprattutto sulle relazioni di condivisione e di co-creazione e di orizzontalità rispetto alle comunità locali che sono state coinvolte in queste dinamiche di co-progettazione e nella realizzazione di azioni culturali sinergiche condotte all’interno di questi territori di vario tipo, come per esempio la collaborazione con le scuole locali dove abbiamo condotto una serie di laboratori e altri progetti”.

Liminaria, dunque, da questo punto di vista può essere definito come un progetto di rivalorizzazione delle aree rurali basato anche sulle dinamiche dei processi di ascolto artistici e non. Ed è stato questo l’aspetto caratterizzante dell’iniziativa, quello che lo ha reso peculiare rispetto ad altri progetti di rivalorizzazione delle aree rurali che si sono sviluppati nel tempo.

Quando si parla di progetti di rivalorizzazione del territorio o di promozione turistica, troppo spesso, però si fa riferimento a indicatori di misurazione, a dati numerici sull’impatto quantitativo su incoming turistici o sullo sviluppo territoriale dal punto di vista economico, ma non sempre si tiene conto di ciò che questi progetti lasciano sul territorio.

“Se viene chiesto a progetti come Liminaria di attivare progetti di incoming turistici o raggiungere un pubblico ampio o avere un impatto radicale sull’economia dei luoghi, queste tali questioni sono poste a monte in modo errato poichè il “pubblico” di Liminaria coincide con la comunità locale e quindi il lavoro svolto da progetti come il nostro è di tipo culturale che crea delle risonanze attraverso le idee che lascia nelle persone e alla possibilità di guardare con occhi diversi o riascoltare con orecchie diverse il proprio territorio, i propri luoghi prestando attenzione a ciò che è invisibile anche rispetto all’elemento non umano compreso in questi luoghi”.

Ogni territorio, comunità e contesto ha la sua specificità e i suoi elementi caratterizzanti. A volte non è neanche semplice esportare dinamiche che si generano in alcuni territori, su altri poiché si investe anche su questioni delicate come le relazioni con le comunità e il rispetto che bisogna avere per esse. Ma un buon risultato, che è venuto fuori da Liminaria e l’approccio che ha avuto il progetto rispetto a territori diversi, è il Manifesto del Futurismo Rurale che Leandro Pisano ha scritto insieme a Beatrice Ferrara e che è stato pubblicato nel 2019 e presentato in una mostra a Melbourne e in una serie di eventi di presentazione tra Australia e Nuova Zelanda. Una sorta di documento in cui per punti sono state tirate le fila della ricerca svolta sul campo durante i primi cinque anni del progetto.

“Un documento che rivendica per le aree rurali la possibilità di poter immaginare dei futuri possibili laddove le narrazioni metropolitane del capitalismo cosmopolitano invece vedono nei territori rurali delle aree di abbandono, di desolazione, di morte destinate all’oblio e quindi questo è sicuramente uno dei primi risultati raggiunti dalla ricerca del nostro progetto e uno dei punti di ripartenza per i prossimi anni. Sono venute fuori delle risonanze, create da questo lavoro, che stanno avendo dei risultati anche sul piano internazionale. Questo credo possa essere definita una buona pratica da cui partire e anche per condividere l’approccio di Liminaria rispetto ad altri territori, sia di aree rurali in Italia che sul piano internazionale”.

Progetti come Liminaria sono basati su una visione culturale che in qualche modo evita qualsiasi tipo di relazione verticale rispetto alle comunità locali e si oppone a forme di colonialismo culturale che è un rischio che si potrebbe correre quando si lavora con artisti che vengono da fuori.

“E’ un processo che viene dall’esterno verso il territorio. Un processo di co-creazione che porta consapevolezza, riflessioni, pensiero critico anche nei curatori, negli artisti e coloro che prendono parte in questa sorta di comunità temporanea che si crea durante gli eventi, i laboratori, i workshop e le residenze che promuoviamo con Liminaria insieme alle varie componenti di agency territoriali. L’idea è proprio quella che l’innovazione non la porta ciò che viene dall’esterno, ma la porta la possibilità di creare relazioni nuove, incontri nuovi in questa sorta di spazio fluido che l’arte consente anche di creare attraverso la combinazione di elementi che già esistono sul territorio e che a volte sono invisibili alle comunità stesse”.

Dunque, l’idea e l’obiettivo di lavorare su questa dimensione culturale è quella di creare nuove visioni possibili all’interno della comunità stessa e che generino una consapevolezza orientata alla rivalorizzazione dei territori e quindi alla possibilità di restare o di tornare e di guardare alle proprie realtà, alle aree rurali non come luoghi dell’abbandono, non come luoghi da cui fuggire rispetto ai quali non poter immaginare il proprio futuro, ma invece come componenti attive dei processi contemporanei anche della globalità, processi economici, processi politici, processi culturali.

“Considerare quindi le aree rurali come luoghi pulsanti, dinamici, fluidi dove si incontrano corpi, idee e culture in flusso e dove appunto il modo migliore per conservare le tradizioni e perpetuarle è la traduzione attraverso i linguaggi contemporanei delle nuove tecnologie di comunicazione, dell’arte e attraverso ciò che di inatteso può creare l’arte stessa”.

L’idea è quella, quindi, di rendere il territorio rurale un luogo di incontro tra le persone, tra i corpi, tra le culture evitando l’idea di territorio come prodotto da vendere, a cui troppo spesso gli amministratori di questi luoghi sono legati.